12 luglio 2024
INCIPIT… 01 ZIO LILLO
Veniva a trovarci una domenica si e una no, e ogni qualvolta che entrava a casa per noi piccoli era una festa.
Zio Lillo era accompagnato dalla moglie Fina e dai figli Enzo e Angioletta e non si presentavano mai a mani vuote; caramelle o cioccolatini, specialmente questi ultimi facevano venire l’acquolina in bocca a noi quattro figli più piccoli di una famiglia ben più ampia.
I miei genitori avevano sfornato sei figli che la mia povera madre riusciva a far crescere grazie all’aiuto incondizionato di sua mamma: Nonna Angelina.
La nonna Angelina era la madre di Maria e Calogero che fin da piccolino cominciò a essere chiamato Lillo in modo vezzeggiativo. Quest’ultimo era di pochi anni più grande di Maria, mia madre. All’appello dei figli di Angelina manca solo Sarina che purtroppo non abbiamo frequentato molto perché si trasferì ben presto al Settentrione, come allora si soleva dire.
Tornando a raccontare di zio Lillo e di zia Fina, ricordo che ammiravo molto la loro eleganza nel vestire.
Zia Fina, sempre ben pettinata e fresca di parrucchiera, con tailleur alla moda dai sobri colori; zio Lillo indossava vestiti sartoriali che impreziosivano il suo alto personale, era alto un metro e ottantacinque circa che, per i tempi, era un’altezza notevole.
La cosa che più mi attirava del suo elegante abbigliamento erano i suoi cappelli Borsalino che portava, si per moda ma anche per coprire la testa che precocemente, in gioventù era rimasta priva di capelli; insomma era calvo. Questa caratteristica proveniva da nonno Vincenzo e si è trasmessa alle generazioni successive.
Dopo che la coppia di zii aveva distribuito le leccornie di cui raccontavo prima, in compagnia di nonna Angelina e di mia mamma Maria, si mettevano a parlare fitto fitto mentre noi cugini giocavamo tra noi generalmente nel cortile dietro casa.
Zio Lillo era un Medico Veterinario Condotto che aveva esercitato per un lungo periodo a Realmonte che distava circa settanta chilometri dal paese d’origine.
Ricordo che per spostarsi più agevolmente, zio Lillo acquistò una FIAT 750; era un modello derivato dalla FIAT 600 ma con più cavalli e con particolari di carrozzeria all’avanguardia come i deflettori: Vetri triangolari posti davanti ai finestrini anteriori, che potevano, ruotando su un perno, far affluire più aria all’interno dell’abitacolo.
Ogni quindici giorni, quindi, la famiglia di zio Lillo affrontava questo tour: Partenza da Realmonte, arrivo a Ravanusa a casa di Maria attorno alle undici e infine trasferimento a Campobello di Licata a casa della mamma di zia Fina: Donna Grazia.
Il ricordo che ho di Donna Grazia è di una signora piccola e sorridente con un’enorme massa di capelli candidi.
All’inizio degli anni settanta, se ben ricordo, arrivò per zio Lillo l’agognato trasferimento a Campobello di Licata.
Tra le sue funzioni di Medico Veterinario Condotto c’era il controllo delle carni al macello comunale.
Fin da piccolo, i medici che mi visitavano quando mi ammalavo, mi definivano così: “Il bambino è anemico; bisogna aiutarlo”. E quindi giù con punture e fiale dal gusto, solo talvolta, gradevole.
Un giorno, avevo circa dieci anni, un medico, amico di mio padre, esordì dopo avermi visitato:
“Tanì, tuo cognato fa sempre il Veterinario Condotto?”
“Si” fu la laconica risposta.
“ Allora che aspetti! Porta Vicinzinu da lui quando è di servizio al macello comunale e fagli bere del sangue di mucca fresco, fresco”.
Io sul momento non seppi che pensare, ma visitare il macello comunale mi intrigava e molto direi.
Papà si accordò con il cognato e una mattina ci recammo al macello.
Mia madre mi aveva fornito un grande bicchiere e via con la massima curiosità.
Prima di addentrarci all’interno ci fu offerto, in segno di rispetto per i familiari del Veterinario Condotto, un tour all’esterno per vedere come era organizzato un moderno macello.
Mio padre mi teneva accanto a sé e:
“Vincè stai tranquillo, non ti impressionare, ora vediamo come avviene la macellazione”.
Entrammo in un grande ambiente dove veniva condotto un capo di bestiame alla volta. Un macellaio carica una sorta di pistola a forma di grosso tubo, appoggia l’attrezzo alla fronte dell’animale e BANG!
L’esplosione del colpo fa uscire una lama che si infigge dentro il cervello della mucca. Ricordo, in modo indelebile, gli occhi quasi stupiti dell’animale che prima, senza un lamento, si accasciò sulle ginocchia anteriori e poi ruzzolò di lato. Rapidamente il macellaio, con un coltellaccio, tagliò all’altezza della giugulare e raccolse del sangue freschissimo nel bicchiere che avevo portato.
Sentii, attraverso il vetro, il calore intenso del sangue appena spillato, ma mi mancò il coraggio di berlo…
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